Cardinale Parolin: Il “Concilio di Shanghai” e il presente della Chiesa in Cina

Source: The Holy See in Italian

del Cardinale Pietro Parolin*Roma (Agenzia Fides ) – Pubblichiamo l’intervento pronunciato dal Cardinale Pietro Parolin in occasione dell’Atto Accademico intitolato “A cento anni dal Concilio di Cina: tra storia e presente”, che nel pomeriggio di venerdì 10 ottobre ha concluso nell’Aula Magna dell’Ateneo la giornata di inizio d’Anno accademico della Pontificia Università Urbaniana.Durante l’Atto Accademico è stato presentato il volume “100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente 1924-2024”, pubblicato dalla Urbaniana University Press, a cura del Dicastero missionario.Il volume raccoglie gli Atti del Convegno internazionale sul “Concilium Sinense” svoltosi presso la stessa Università Urbaniana il 21 maggio 2024, esattamente 100 anni dopo il Concilio di Shanghai.***Stimate Autorità accademiche,Care studentesse e cari studenti,Care sorelle e cari fratelli,Sono lieto di poter condividere con voi questa giornata, che non è solo l’inizio del Nuovo Anno Accademico, ma segna anche il compimento del vostro Pellegrinaggio giubilare nell’Anno Santo della Speranza.Questo Atto accademico prende spunto dal volume che raccoglie gli Atti del Convegno, svoltosi in questa stessa Aula Magna il 21 maggio 2024 e dedicato al Concilio di Shanghai, lo storico “Concilium Sinense”. Ricordo quella giornata, alla quale ho preso parte e, in particolare, la gioia di poter accogliere i relatori venuti per l’occasione dalla Repubblica Popolare Cinese. Ringrazio, perciò, gli organizzatori di quel Convegno (la Pontificia Università Urbaniana, l’Agenzia Fides e la Commissione Pastorale per la Cina) e i curatori di questo volume, che offre l’occasione per riflettere nuovamente sul Concilium Sinense e riscoprirne l’attualità.In questo mio intervento vorrei semplicemente richiamare alcuni temi che idealmente uniscono il Concilio di Shanghai al cammino presente e futuro delle comunità cattoliche cinesi.1. Il Concilio di Shanghai e i “segni dei tempi”Il Concilio di Shanghai fu convocato su mandato di Papa Pio XI con l’intento di favorire l’ulteriore e buon sviluppo dell’opera apostolica in Cina, ponendo le premesse per la fioritura di una Chiesa matura, pienamente inserita nella storia e nella cultura cinesi. La Sede Apostolica aveva chiaro che, in quella fase, occorreva sottrarre l’evangelizzazione alle ambiguità di una possibile identificazione con gli interessi politici di gran parte dell’Occidente. Quello, infatti, era uno dei nodi da sciogliere. Una soluzione consisteva nell’affidare gradualmente, ma con determinazione, la guida delle diocesi cinesi a sacerdoti e vescovi cinesi.Lo scorso anno dissi al Convegno – e lo ribadisco oggi – che non si tratta certo di favorire giudizi sommari sull’opera compiuta fino ad allora dai missionari in Cina. Essi hanno certamente dato un significativo contributo, che soltanto una ricerca attenta potrà rivalutare in maniera equilibrata, collocandolo, cioè, nei limiti e nelle opportunità del loro tempo. È giusto essere grati verso le generazioni di missionari che hanno faticato e donato la loro vita per gettare con sincero amore i semi del Vangelo in terra cinese. Il patrocinio offerto da alcune Potenze occidentali, tuttavia, poneva una pesante ipoteca sul loro commovente lavoro missionario: sia perché limitava, in qualche modo, la libera iniziativa della Santa Sede, sia perché falsava la percezione che i Cinesi avevano della presenza missionaria, come se l’opera di evangelizzazione fosse parte integrante della politica di colonizzazione.In tale scenario rientrano anche le resistenze a lungo opposte da alcuni Stati europei ai numerosi tentativi con cui Santa Sede e Cina cercarono di consolidare relazioni dirette. Ne è prova peculiare la vicenda dello stesso Arcivescovo Celso Costantini, inviato in Cina come Delegato Apostolico, i cui lungimiranti orientamenti pastorali e la cui preziosa opera diplomatica furono esposti a non pochi attacchi. Così si persero occasioni e anni preziosi.Nonostante obiezioni e resistenze, sia interne che esterne, i semi sparsi dal Concilio di Shanghai iniziarono presto a portare frutto. Infatti, due anni dopo la sua conclusione, il 28 ottobre 1926, Papa Pio XI consacrò a Roma, nella Basilica di San Pietro, i primi sei vescovi cinesi dell’epoca moderna. Venti anni dopo, nel travaglio della Guerra civile cinese e della Seconda Guerra Mondiale, l’11 aprile 1946, Papa Pio XII favorì la definitiva normalità della vita della Chiesa in Cina elevando i vicariati apostolici ivi esistenti al rango di diocesi. Forte del cambiamento avviato dal Concilio di Shanghai e sotto la pressione esercitata dalle circostanze storiche, la Santa Sede e la Chiesa in Cina, con la guida dello Spirito Santo, poterono scoprire e sperimentare peculiari forme di presenza e di inculturazione.Questo cammino fu autorevolmente accompagnato dalla Lettera Apostolica Maximum illud di Benedetto XV, del 30 novembre 1919: il documento magisteriale al quale più si ispirò il Concilio di Shanghai. Tale documento rivendicava la missione come azione propria della Chiesa, sottraendola in pari tempo ad uno scorretto “Occidentalismo”, secondo cui il Cristianesimo era un mero portato della civiltà occidentale, fatalmente destinato a rimanere, al di fuori dell’Europa, una “religione straniera”. Contemporaneamente veniva sottolineato l’irrinunciabile valore del vincolo di comunione di tutte le Chiese con il Papa, il quale non solo è custode dell’identità cattolica ma anche il supremo garante della buona crescita della fede all’interno di ogni cultura umana. Anche il medesimo Celso Costantini, nei suoi scritti, sottolinea che «Il Papa è il capo spirituale di tutti i Cattolici del mondo, a qualunque Nazione appartengano; ma questa obbedienza al Papa non solo non nuoce l’amore che ciascuno deve al proprio Paese, ma lo purifica e lo ravviva (…). Il Papa vuole che i Cattolici cinesi amino il loro Paese e siano i migliori tra i cittadini» (C. COSTANTINI, Con i Missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. I, XIV).2. Il fiume della storiaAnche le intuizioni più lucide e gli inizi più promettenti sono chiamati a fare i conti con l’imprevisto della storia. Nel caso della Cina, gli eventi storici del secolo scorso hanno portato alla liberazione del popolo dal colonialismo straniero. Tuttavia, il nuovo ordine politico affermatosi nel Paese produsse inevitabilmente lacerazioni nella comunità ecclesiale cattolica, culminate nella prassi delle ordinazioni episcopali celebrate senza consenso del Vescovo di Roma.Celso Costantini, che dopo la sua missione in Cina era stato nel frattempo nominato Segretario dell’allora Congregazione de Propaganda Fide, consigliò a Pio XII di non leggere la situazione cinese con occhiali europei. Nell’Enciclica Ad Apostolorum Principis del 1958, infatti, il Papa ricorderà, da un lato, le censure latae sententiae che incombono su chi conferisce e riceve l’ordinazione episcopale fuori dalla comunione con il Vescovo di Roma, senza però, d’altro lato, mai utilizzare il termine “scisma” in riferimento ai Vescovi cinesi che erano stati ordinati senza mandato pontificio. Inoltre, nella medesima enciclica ribadì il dovere dei Cattolici cinesi di amare la propria Patria e di rispettarne le leggi che non fossero in contrasto con la fede e con la morale cristiana, per favorire lo sviluppo armonico dell’intera Nazione.3. Il Concilio di Shanghai e il presente della Chiesa in CinaNel nuovo e positivo cammino della Chiesa cattolica in Cina, aperto dal Concilio di Shanghai, ci sono state anche battute d’arresto, fatiche e traumi. Non c’è, tuttavia, chi non veda che questa è, in realtà, una condizione quasi costitutiva della Chiesa peregrinante nella storia. La Chiesa cattolica in Cina presenta, comunque, oggi molti tratti che sembrano rispondere alle attese espresse dal Concilium Sinense.Ad esempio, le comunità cattoliche cinesi, “piccoli greggi” sparsi in mezzo ad un popolo vasto, si sentono pienamente integrate nella realtà della loro Nazione, ne condividono il cammino e non si sentono affatto un corpo estraneo aderente ad una religione straniera. Oggi la comunità cattolica cinese, in comunione con il Vescovo di Roma e con la Chiesa universale, sta cercando la propria strada per essere missionaria e per essere utile al proprio Paese. Pur tra difficoltà e sofferenze, giungono, infatti, segnali della vivacità della vita di queste comunità: sia nella celebrazione della Parola, che nell’amministrazione dei Sacramenti e nelle opere di carità svolte per il bene di tutti. Questo indubbiamente riecheggia gli auspici presentati, più di cento anni fa, dal Concilio di Shanghai.Nello stesso arco di tempo, tutti i Papi, anche nei frangenti più critici, hanno sempre indicato la via del perdono, della riconciliazione e dell’unità, per guarire le ferite e camminare insieme. Poggiando su queste basi, la comunità cattolica cinese è stata fin qui custodita dal Signore nella fede degli Apostoli.Negli ultimi decenni, il Magistero pontificio riguardo alla condizione della Chiesa cattolica in Cina ha trovato la sua espressione culminante nella Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, pubblicata nel 2007. In questa cornice complessiva è maturato anche l’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese.L’Accordo è stato firmato nel settembre 2018 e rinnovato per 3 volte sotto il Pontificato di Papa Francesco. Ma il cammino che ha portato ad esso era iniziato molto tempo prima, sotto il Pontificato di San Giovanni Paolo II ed era proseguito sotto il Pontificato di Benedetto XVI, che nel 2009 aveva dato il consenso alla firma. Proprio nella citata Lettera del 2007, Papa Benedetto aveva auspicato «un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato» (BENEDETTO XVI, Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, 9) e per adeguare le circoscrizioni e le province ecclesiastiche alle nuove suddivisioni dell’amministrazione civile. È quindi un passo compiuto lungo un cammino di discernimento durato decenni.Si tratta di uno strumento, da utilizzare e verificare nei suoi effetti in un cammino intessuto di realismo, di pazienza, di fiducia, da rinnovare anche davanti a momenti difficili e fasi di stallo.Vorrei sottolineare soprattutto i criteri ecclesiali a cui esso si ispira e lo sguardo di fede con cui deve essere considerato. In quanto strumento, non pretende certo di aver risolto o di risolvere tutti i problemi – qualcuno potrebbe liquidare i risultati fin qui raggiunti come “deludenti” – ma credo che l’Accordo si debba giudicare come un “seme di speranza” – quella speranza che non delude, come ci ricorda l’Anno Santo che stiamo vivendo – che, pur nelle perduranti difficoltà e negli incidenti di percorso che nessuno ignora, con la grazia di Dio, non mancherà di produrre frutti di annuncio del Vangelo, di comunione con la Chiesa universale e il Vescovo di Roma e di vita cristiana autentica. È su queste basi che possiamo guardare al lavoro ancora da compiere e continuare ad impegnarci attivamente all’opera.Mi piace concludere questo mio breve intervento citando alcune parole di Papa Francesco, affidate ad un video-messaggio per il Convegno sul Concilium Sinense: «Il Signore, in Cina, ha custodito lungo il cammino la fede del popolo di Dio. E la fede del popolo di Dio è stata la bussola che ha indicato la via in tutto questo tempo, prima e dopo il Concilio di Shanghai, fino a oggi. […] Chi segue Gesù ama la pace, e si trova insieme a tutti quelli che operano per la pace, in un tempo in cui vediamo agire forze disumane che sembrano voler accelerare la fine del mondo».Grazie a tutti.(Agenzia Fides 11/10/2025).*Segretario di Stato di Sua Santità
Condividi: