ASIA/MYANMAR – I Vescovi: “Tra compassione e speranza, nella ‘policrisi’ del Myanmar”

Source: The Holy See in Italian

mercoledì, 29 ottobre 2025

Yangon (Agenzia Fides) – “Questo non è il momento di arrendersi. È il momento di trovare, nelle ceneri del dolore, la brace della speranza. La pace è possibile; la pace è l’unica via. Non lasciamo che l’odio ci definisca. Non lasciamo che la disperazione vinca. Che la nostra risposta sia semplice: compassione in azione, verità detta con dolcezza e pace perseguita senza sosta”: è l’accorato appello diffuso oggi, 29 ottobre, dai Vescovi del Myanmar, redatto nel corso di un’assemblea online che ha esaminato la situazione della comunità ecclesiale dopo quattro anni di guerra civile.Il testo inviato all’Agenzia Fides, dal titolo “Un messaggio  di compassione e di speranza per la ‘policrisi’ del Myanmar” e firmato da tutti i Vescovi birmani, parte da un’amara constatazione della realtà sul terreno: “In tutta la nostra amata terra, da Nord a Sud, da Est a Ovest, il nostro popolo sta affrontando una crisi senza precedenti nella storia recente. Questa non è una singola tragedia. È ciò che gli esperti chiamano una ‘policrisi’, in cui molteplici emergenze si uniscono, ognuna delle quali aggrava le altre. Stiamo vivendo conflitti armati, disastri naturali, sfollamenti, collasso economico e una profonda frattura sociale”.Il primo aspetto rimarcato è quello dell’impatto umano: “Ci spezza il cuore più di ogni altra cosa – dicono i Presuli birmani –  la sofferenza delle persone. Secondo le Nazioni Unite, oltre 3 milioni di persone in Myanmar sono sfollate dalle loro case a causa dell’escalation del conflitto. Non si tratta solo di numeri. Si tratta di madri, padri, nonne e bambini. Alcuni si riparano sotto gli alberi, nelle risaie, nei monasteri e in tende di fortuna, senza cibo, acqua, istruzione o sicurezza”.  Mentre nelle zone di conflitto, “le città si sono trasformate in città fantasma”, nelle zone colpite dal terremoto, interi villaggi sono stati rasi al suolo, è questo ha generato nella popolazione  “traumi profondi e paura”.Osservano i Vescovi: “Donne e bambini sopportano i fardelli più pesanti. Molti bambini sono fuori dalla scuola da anni. Le loro aule sono diventate macerie. Il loro futuro è sospeso nell’incertezza. Alcuni hanno perso i genitori. Alcuni hanno assistito alla violenza. Molti hanno fame, sono malati e incapaci di esprimere ciò che provano dentro. Anche le donne soffrono in silenzio. Portano con sé il dolore della perdita della famiglia, la responsabilità di prendersi cura dei più piccoli e la paura dello sfruttamento. In alcuni casi, devono partorire o crescere neonati senza un riparo o un’assistenza sanitaria. Eppure, sono loro a tenere unite le comunità, a cucinare per molti, a pregare nell’oscurità e a confortare chi è in lutto”.Il messaggio non manca di citare le “note dolenti”: “Una delle ferite più profonde che vediamo oggi è la mancanza di comprensione e fiducia tra tutti i diversi attori e parti interessate. Ci sono molteplici fronti, molteplici visioni, molteplici bisogni. Spesso c’è poco dialogo, pochi spazi autentici in cui i cuori possano ascoltarsi a vicenda. Per questo motivo, gli aiuti vengono bloccati, lo sviluppo ritardato e l’accesso umanitario limitato”. “La vita quotidiana per i civili – prosegue – è diventata una prova quotidiana di sopravvivenza. In molte parti del paese, i prezzi dei generi alimentari sono saliti alle stelle. Il lavoro è scomparso. Carburante e medicine scarseggiano. L’elettricità va e viene. L’ansia è diventata una compagna silenziosa in ogni famiglia”.E i giovani, “che sognano solo di studiare, lavorare e costruirsi un futuro, sono  pieni di paura, rabbia e disillusione. I loro talenti vengono sprecati. Le loro speranze sepolte”.In questo scenario, “come cristiani e come persone che camminano al fianco di tutte le fedi, ci chiediamo: dove stiamo andando ? Come porre fine alla guerra?”. Il cristianesimo, notano, non offre una facile via di fuga dalla sofferenza, “ma offre una via – una via silenziosa e umile – verso la riconciliazione, la guarigione e una pace duratura”. “Riconciliazione non significa dimenticare o fingere che tutto vada bene, ma vuol dire ascoltare le storie degli altri, piangere con chi piange, cercare un terreno comune dove nessuno debba perdere perché gli altri vincano”.”Gesù stesso – ricorda il messaggio –  disse: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9). La pace non è passiva. Non è silenzio. È un impegno attivo e coraggioso nello scegliere la vita anziché la morte, la dignità anziché la vendetta, la comunità anziché l’isolamento”.Con questi presupposti e con questo spirito, i Vescovi auspicano in conclusione: “Possa la nostra nazione, ferita e malconcia, risorgere, non solo con edifici, ma con cuori nuovi. E che un giorno i nostri figli possano dire: “Non hanno rinunciato alla pace. E così abbiamo trovato la strada di casa. Che Dio benedica il Myanmar”.(PA) (Agenzia Fides 29/10/2025)
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