OTTOBRE MISSIONARIO – Suor Suzanne Djebba: Gioia e speranza nella missione tra le Genti

Source: The Holy See in Italian

Photo Paolo Galosi

di Suor Suzanne Djebba* MDIPubblichiamo l’intervento pronunciato da Suor Suzane Djebba,Vicaria generale delle Missionarie dell’Immacolata (PIME), in occasione del Convegno Internazionale Missionario “La Missio ad Gentes oggi: verso nuovi orizzonti”.Promosso dal Dicastero per l’Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) e dalle Pontificie Opere Missionarie, il Convegno si è svolto nel pomeriggio di sabato 4 ottobre presso l’Aula Magna Pontificia Università Urbaniana, nella cornice del Giubileo del Mondo missionario e dei MigrantiRoma (Agenzia Fides) – Buongiorno a tutti.Sono Suor Suzanne Djebba, della Congregazione delle Suore Missionarie dell’Immacolata, originaria del Camerun. Dopo gli studi qui a Roma, sono stata destinata in Guinea Bissau dove ho lavorato come missionaria per circa otto anni e adesso sono di nuovo nella Città eterna per il servizio di vicaria nel nostro Consiglio Generale. E sono qui oggi per rispondere all’invito che mi avete fatto di condividere con voi le gioie e le speranze della missione tra le genti.1. Breve presentazione della missione MDI in Guinea BissauCome Missionarie dell’Immacolata (PIME), dopo l’invito del Monsignore Settimio Ferrazzetta, primo Vescovo di Bissau, siamo arrivate in Guinea nel 1980. La Guinea oggi ha due diocesi: Bissau e Bafatà. Come missionarie siamo impegnate nella pastorale catechetica, nella la formazione dei leader delle comunità cristiane, nella promozione sociale attraverso l’educazione, nell’assistenza alle mamme di gemelli e agli orfani, nella promozione femminile e nell’accompagnamento dei giovani e degli studenti.Per darvi un’idea del luogo di cui parleremo, faccio solo notare che la Guinea è uno stato dell’Africa occidentale che confina al nord con il Senegal, al sud con la Guinea Conakry e ad ovest con l’Oceano Atlantico. Come religioni, vi sono i musulmani, che sono maggioritari, poi i praticanti delle religioni tradizionali e, infine, i cristiani di diverse confessioni religiose.2. Il mio primo invito missionario in Guinea BissauPer parlare di gioia e speranza nella missione tra le genti, partirò da un’esperienza che ho fatto in Guinea dopo il mio arrivo.Un giorno, come comunità religiosa, dovevamo partecipare all’incontro per la programmazione dell’anno pastorale nel nostro settore e per arrivarci bisognava prendere la barca. Quando siamo arrivate sulla riva, scendendo dalla barca, ho sentito l’invito di un ragazzo: “Vieni a mangiare”. All’inizio non sapevo neanche da dove venisse questa voce e quindi mi ero solo girata per curiosità, ma anche per capire chi davvero mi stava invitando. Io comunque ritenevo non fosse rivolto a me perché ero nuova, appena arrivata, e, oltre alle mie consorelle, nessuno mi conosceva. Eppure il ragazzo ha continuato a chiamare indicandomi col dito e dicendo che stava proprio chiamando me. Direi che, pure essendo africana e sapendo che la condivisione è una cosa naturale, sono rimasta comunque sorpresa e anche colpita dal suo gesto. Non conoscevo affatto questo ragazzo e tanto meno lui conosceva me. Dopo aver capito che si rivolgeva proprio a me, l’ho ringraziato col sorriso e ho declinato gentilmente l’invito.Cosa mi è rimasto di questa prima esperienza? Mi rimane un invito caloroso, una chiamata vibrante ad entrare nella comunione di un popolo che pure senza conoscermi già mi attendeva. Un popolo a cui non importava di sapere se ero appena arrivata, se ero straniera, donna, se appartenevo ad una religione o ad un’altra, ma che mi rivolgeva solo un semplice invito: “vieni..” è come se mi chiamassero a stare sempre con loro per vivere la missione in pienezza, non da spettatrice, ma immersa in mezzo a loro come inviata da Dio e nello stesso tempo invitata da loro stessi a far parte della loro vita e ad entrare nel loro mondo per farlo diventare anche mio.Allora, come è stata concretamente la mia vita missionaria in Guinea?3. La Collaborazione con la chiesa locale:Il primo passo nella missione per me, come per tutti i missionari, è appunto quello di conoscere ed aprirsi al nuovo, cioè alla realtà, alle persone, alle diverse culture e tradizioni del popolo a cui siamo stati inviati.Quindi l’invito che ho ricevuto mi ha subito fatto capire che la comunione significava per me lavorare per la Chiesa e con essa. Su questo punto direi che per noi nuovi missionari, a differenza di tutti quelli che ci hanno preceduto, oggi, quando arriviamo in missione, la realtà è ben diversa perché troviamo già una chiesa locale abbastanza strutturata e funzionante. Quindi non arriviamo per iniziare da zero la plantatio della Chiesa in quel posto determinato, bensì per rinforzare la sua presenza e darle un volto più missionario. Questo però comporta la capacita di sapersi mettere al fianco degli altri, cioè non davanti da protagonisti eroici, né dietro da spettatori passivi e critici, ma fianco a fianco, mano nella mano per lavorare insieme come un corpo ecclesiale e come figli e figlie della stessa Madre Chiesa. Per me questo è stato l’atteggiamento di fondo che ho cercato di attuare nella vita in missione.L’icona che mi ha sempre accompagnato nella mia vita missionaria è quella di Gesù che cammina con i discepoli di Emmaus (Lc24, 13-35), che entra in dialogo con loro tenendo presente le loro preoccupazioni, li aiuta pian piano a capire i disegni di Dio e scompare una volta che i loro occhi si sono aperti alla frazione del pane. E quindi per me, lavorare con la Chiesa locale, è vivere nel concreto questo camminare insieme che si traduce nella condivisione della fede, della formazione e dei doni ricevuti da Signore, ma anche nella condivisione della vita della nostra Chiesa di origine in uno scambio arricchente.Un’altra immagine che mi accompagna ed illumina la mia vita missionaria è quella di Gesù seme e seminatore, molto cara al mio Istituto, che è la fonte del nostro carisma. Questo seminatore generoso e instancabile, come diceva una della nostre fondatrici, M. Igilda, che esce e che getta la semente ovunque, senza distinzione di posti e luoghi, è proprio la spinta del mio quotidiano agire missionario.In modo concreto, come è stata la mia collaborazione con la Chiesa locale?Nei miei primi anni di missione in Guinea, la sfida maggiore che mi avevamo presentato era la formazione dei formatori per la vita religiosa. La Conferenza dei Superiori Maggiori aveva individuato questa realtà come una massima priorità alla quale bisognava dedicare forze ed energie.Rispondendo a questo appello, ho dato la mia disponibilità affiancando nel primo anno una Suora della Consolata che già lavorava in quell’ambito. Questa esperienza di lavoro a due è stata davvero una ricchezza per me perché e mi ha permesso di sperimentare la bellezza di contribuire alla formazione dei formatori per il bene della Chiesa locale dando loro alcune indicazioni a livello psico-spirituale e pedagogico affinché potessero svolgere bene il loro compito, ma soprattutto condividendo con loro le gioie e le fatiche della formazione nelle zone dove le risorse umane e academiche sono molto limitate.Tuttavia, al secondo anno, mi sono ritrovata da sola ed era un compito troppo grande per me. Siccome bisognava comunque dare continuità a questa attività, abbiamo fatto la proposta ai Superiori di creare un gruppo di formatori che avevamo già sul posto, come quelli del Seminario maggiore e individuando anche altri Religiosi formati in questo ambito che potessero collaborare a questa missione. E da allora, ancora oggi, c’è questo gruppo che sta portando avanti il lavoro formativo. Per me questo è un motivo di gioia che mi dà speranza perché traduce concretamente l’impegno della Chiesa per la cura e la formazione delle vocazioni locali.4. La promozione sociale:Attraverso l’educazione, ossia le Scuole, cerchiamo di dare un’educazione di buon livello a tutti i bambini e gli adolescenti che frequentano le nostre strutture. Posso dire senza esagerare che le Scuole che funzionano meglio e hanno dei risultati eccellenti sono proprio quelle cristiane, e in modo particolare quelle cattoliche. Anche lì, in Guinea abbiamo scelto lo stile di Scuole di autogestione che coinvolge e comporta come protagonisti: lo Stato, il villaggio e noi. Per cui, le Scuole che gestiamo sono praticamente del Governo e seguono i programmi statali. Cosi facendo, il giorno che verremo chiamate ad andare ad evangelizzare altrove, la Scuola potrà continuare senza grossi problemi.Oltre a questo diamo anche priorità alla formazione umana e l’appoggio finanziario per i giovani che fanno degli studi universitari e professionali. Questa scelta che abbiamo fatto come missionarie dell’Immacolata, con l’appoggio sostanziale dei benefattori a cui siamo sempre grate, ha come obiettivo di dare la possibilità ai giovani di avere un futuro diverso, ma soprattutto incentivare in loro la voglia di vivere e lavorare nel loro Paese. Quindi, sostenere i giovani ad avere una formazione accademica e professione è una cosa molto impegnativa, eppure ci ha dato tanta gioia.Difatti, dopo anni di impegno e sacrifici, finalmente vediamo che sono diventati finanziariamente automi lavorando come professori, impiegati negli uffici, banche, ospedali etc…Essi stessi ci aiutano poi nelle pratiche burocratiche, ribadendo che senza di noi non avrebbero mai avuto questo lavoro. Certo che non lavoriamo per essere ringraziate o riconosciute, ma la loro gioia e la loro gratitudine ci fa capire che ne è valsa la pena compiere dei sacrifici.Poi, l’altra cosa che mi sembra ancora più bella è quella di vedere che alcuni dei giovani che abbiamo aiutato stanno, a loro volta, pagando la scuola/formazione professionale ad altri giovani che non sono per forza appartenenti alle loro famiglie. Per me questo è un forte segnale di speranza: vedere che il bene che si moltiplica facendoci crescere e credere nella fiducia in una gioventù migliore. Come sottolineava Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale di questo anno: “Davanti all’urgenza della missione della speranza oggi, i discepoli di Cristo sono chiamati per primi a formarsi per diventare ‘artigiani’ di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice”.5. La missione dell’ascolto:In missione spesso, c’è tanto da fare e ancor più nei luoghi dove il/la missionario/a deve fare quasi tutto. Quindi c’è sempre l’urgenza o anzi la tentazione di lavorare molto e, a volte, anche in modo frenetico perché di solito le necessità sono sempre superiori alle nostre forze. Perciò spesso siamo molto occupati e preoccupati dalle cose da fare. Però, in mezzo a tutto questo, la chiamata che ho ricevuto dai giovani e dalle donne era quella di dare tempo a loro per l’ascolto.Come altri missionari, anch’io, nei primi tempi, vedevo che c’era troppo lavoro pratico e che l’ascolto era un cammino molto lento per poter raggiungere i miei obiettivi. Era più facile fare qualcosa per gli altri piuttosto che dedicare tempo a stare con loro e capire davvero cosa era meglio per loro.Cosa mi ha fatto cambiare prospettiva? Semplicemente una donna che, un giorno, mi ha fatto una domanda critica: “Voi missionari perché non ci lasciate esprimere la nostra gioia?”. Io le ho chiesto: “ma perché dici questo?” E lei mi ha risposto dicendo che i missionari fanno tutto per loro, ma non si aprono a ricevere a loro volta ciò che il popolo dà loro come espressione della loro gratitudine. Questo piccolo dialogo mi ha fatto capire che solo nell’ascolto potevo avere questo spazio del dare e ricevere.Per cui, quando ho deciso di dare priorità all’ascolto, questo mi ha anche cambiato prospettiva. Da quel momento ho capito che la missione non è appunto solo un dare, un fare, ma anche un ricevere. Posso dire senza esagerare che, nell’ascolto delle persone, ho ricevuto più di quanto abbia dato. Attraverso l’ascolto ho capito di cosa davvero aveva bisogno il popolo, il suo proprio bene e non il bene che io pensavo di fare per loro e, a volte, al posto loro. E qui l’immagine di Maria, la donna dell’ascolto, mi ha aiutato molto nella missione. Ascoltare le persone come Maria li avrebbe ascoltati, ascoltare come Maria ascoltava suo figlio Gesù in tutte le fasi della sua vita. Ascoltare per condividere la profondità del cuore dell’altro, il suo tesoro intimo, sperimentando la fiducia di Dio. Non aver paura di scendere in quella profondità, in queste acque tumultuose dove Dio stesso sta con noi come dice l’angelo a Maria: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). Questa è l’assicurazione che ho quando qualcuno viene a trovarmi per farsi ascoltare.Un giorno, è arrivata nella nostra comunità una signora anziana che chiedeva un aiuto finanziario. Mi sono seduta accanto a lei e subito ha cominciato a condividere la sua vita con tutte le sue difficoltà. Ma ciò che mi ha stupito è che, quando ha finito di parlare, non ha chiesto più niente. Mi ha solo detto: “Grazie per avermi ascoltata”.Quindi per me, i tempi dedicati all’ascolto che realisticamente rappresentano tempi lunghi, tanto che, a volte, ci sembra addirittura di perdere tempo, sono momenti dove attraverso il dialogo e la relazione interpersonale, nasce la speranza, la gioia di essere preso sul serio, valorizzato e ascoltato. Papa Francesco, sempre nel suo Messaggio per la Giornata Missionaria di questo anno ci ricordava che: “tramite i suoi discepoli, inviati a tutti i popoli e accompagnati misticamente da Lui, il Signore Gesù continua il suo ministero di speranza per l’umanità. Egli si china ancora oggi su ogni persona povera, afflitta, disperata e oppressa dal male, per versare ‘sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza’”.Come missionari, nell’ascolto, sentiamo anche i nostri limiti a risolvere certi problemi. Allo stesso tempo, però, è anche lì che sorge il desiderio di affidare loro a Dio, con la piena convinzione che, senza la preghiera, non possiamo portare avanti la missione di Cristo e che è lui a far crescere il Suo Regno dentro e fuori dei cuori delle persone. Per cui, per me portare le persone ascoltate a Gesù nell’Eucaristia è un momento molto forte dove sento che è Dio stesso che lavora e noi siamo solo i suoi semplici collaboratori. Come diceva una delle nostre fondatrici: “La vita missionaria per essere feconda di bene, deve modellarsi sulla vita eucaristica di Gesù nel tabernacolo”. (Madre Dones, Circolare 14/6/1946).6. La missione dell’annuncio e della testimonianzaL’annuncio, come l’ho vissuto in Guinea, è stato fatto tramite la catechesi nella quale non si può fuggire dal dialogo tra fede e cultura, tra fede e tradizioni locali. E proprio in questo dialogo, emergono i valori umani e spirituali che aiutano i cristiani a essere radicati nella loro fede senza negare la loro identità culturale, vivendo fede e cultura nell’armonia del cuore e della mente. Però c’è da tenere costantemente presente il lavoro di purificazione e di conversione, sia da parte del missionario che da parte di chi riceve il Vangelo per la prima volta. Sempre come dice l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa al numero 57: “L’Africano crede in Dio creatore a partire dalla sua vita e dalla sua religione tradizionale. È dunque aperto anche alla piena e definitiva rivelazione di Dio in Gesù Cristo, Dio con noi, Verbo fatto carne. Gesù, la Buona Novella, è Dio che salva l’Africano […] dall’oppressione e dalla schiavitù”.Sempre per l’annuncio diamo anche valore alla formazione dei catechisti. È una cosa fondamentale perché, tante volte, loro arrivano dove noi non arriviamo, sanno usare il linguaggio locale per far capire le cose in modo semplice e quindi come diceva un giorno una mia consorella: formare bene un catechista significa mettere in piedi una comunità cristiana e la comunità a sua volta diventa luogo di formazione e così cresce la fede.7. Seminatori di pace e giustiziaUn altro punto che vorrei condividere con voi e che per me è fonte di gioia e di speranza è l’impego dei Pastori della Chiesa della Guinea per la pace. In un Paese segnato da guerre e da diversi colpi di Stato, tutta la Chiesa è cosciente di questo dono prezioso e lavora per mantenerla. “All’Africa, pressata d’ogni parte da germi d’odio e di violenza, da conflitti e da guerre, gli evangelizzatori devono proclamare la speranza della vita radicata nel mistero pasquale” (cf. Esortazione Apostolica post-sinodale di S. Giovanni Paolo II “Ecclesia in Africa”, nº 57).Quindi per rispondere alla necessità di seminare la pace e la speranza, i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e tutti i cristiani si impegnano ogni giorno a promuovere la comunione, il dialogo tra le persone e le comunità, l’amicizia tra tutti. Come si dice spesso in Guinea: siamo tutti fratelli. E di fatto, nella realtà, in Guinea i musulmani, i praticanti della religione tradizionale e i cristiani vivono tutti insieme e, capita che siano anche della stessa famiglia.Certo che sono gesti semplici, ma che però aiutano a seminare la pace e la concordia tra le persone anche a livello socio-politico, stimolando ognuno a prendere le proprie responsabilità per il bene di tutti. Quindi oggi l’evangelizzazione in Africa passa attraverso la riconciliazione dei cuori per arrivare a creare una società dove si può sperare di vivere nella giustizia e nella pace. Come menzionato nell’Esortazione apostolica post- sinodale del santo Padre Benedetto XVI, Africae Munus, al nº 174: “Il volto dell’evangelizzazione assume oggi il nome di riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di tutti i popoli”.Conclusione:Al termine di questa condivisione vorrei ringraziare gli organizzatori, quelli che mi hanno dato la possibilità di rivivere con voi il mio percorso missionario in Guinea. Finisco solo dicendo che per me la missione è presenza, una presenza, a volte discreta e silenziosa, ma che incide profondamente sulla vita delle persone. Una presenza che, a volte, ha bisogno anche di parole per esprimere e condividere ciò che in cui crediamo, una presenza che si fa compagnia e una presenza che condivide le gioie e le speranze del popolo a cui siamo stati mandati.Auguro ad ognuno di noi di essere questa presenza nel nostro quotidiano. Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale di questo anno, citando la Gaudium et Spes 1 ha formulato questo auspicio: “Seguendo Cristo Signore, i cristiani sono chiamati a trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano e diventando così portatori e costruttori di speranza. Infatti, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».Grazie a tutti e tutte per l’attenzione e l’ascolto!(Agenzia Fides 29/10/2025)*Vicaria generale delle Missionarie dell’Immacolata, PIME

imipime.org

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