Il Sottosegretario Mantovano al Quirinale per il Centenario dell’Intelligence

Source: Government of Italy

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, questo pomeriggio è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Palazzo del Quirinale insieme ad una rappresentanza dell’Intelligence italiana in occasione del Centenario della nascita del primo Servizio di intelligence nazionale.

Erano presenti il Direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis), Vittorio Rizzi, il Direttore dell’Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Esterna (Aise), Giovanni Caravelli, e il Direttore dell’Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Interna (Aisi), Bruno Valensise. 

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Il testo dell’intervento del Sottosegretario Mantovano

Signor Presidente della Repubblica, autorità tutte, signore e signori,

nell’ultimo “Rapporto Italia”, che Eurispes ha pubblicato pochi mesi fa, l’intelligence risulta tra le istituzioni che ispirano maggiore fiducia nei cittadini: raccoglie il 67% di apprezzamento, con un sensibile aumento rispetto al 2024, a conferma di una percezione dei Servizi come una forza positiva, vicina, al servizio della comunità nazionale.

Questi dati sono sorprendenti per chi – è il mio caso – ha qualche anno di troppo, e ricorda la considerazione riservata nei decenni scorsi ai nostri organismi informativi.

È segno degli sforzi compiuti in questi cento anni dall’intelligence italiana, che è nata durante il Fascismo, ma è divenuta nel tempo uno dei principali strumenti a difesa della democrazia e delle libertà.

Questi sforzi sono andati di pari passo con assetti normativi sempre più definiti, a partire dalla legge n. 801/1977, e quindi dalla riforma del 2007, la legge n. 124. A quest’ultima si deve il miglioramento dell’operatività dei Servizi, posti sotto la responsabilità unitaria del Presidente del Consiglio, e un innalzamento dei presidi di legalità nell’azione dei servizi e dell’efficacia del controllo democratico sulla loro attività. Penso al rafforzamento del ruolo del Comitato parlamentare di controllo, con l’attribuzione ex lege della Presidenza a un esponente delle forze politiche di opposizione: è un caso unico nel panorama delle grandi nazioni, all’introduzione della disciplina organica del segreto di Stato, di cui sono state regolate le condizioni di azionabilità e i termini di validità, alla disciplina delle garanzie funzionali, che offre agli agenti possibilità operative con strumenti di eccezione, ma all’interno di una cornice di assoluta legalità.

Oltre a questo, la legge di riforma ha avviato un cambiamento culturale: ha adeguato ai tempi la categoria della “sicurezza nazionale”, ricomprendendovi ambiti come quello economico, scientifico e industriale; ha aperto al reclutamento su base concorsuale da bacini nuovi, come quelli delle professioni, delle imprese e delle università; ha istituito una Scuola di Formazione unitaria, collaborando col mondo accademico, il che ha migliorato la qualità degli insegnamenti e la diffusione nel mondo della ricerca  di una sensibilità comune per gli interessi strategici nazionali.

Ancora più a monte, la traiettoria di questi cento anni è stata definita, giorno dopo giorno, dal lavoro svolto dall’invisibile schiera di donne e uomini che hanno definito l’anima dei nostri apparati di sicurezza.

A partire dal primo direttore del SIM, il colonnello Attilio Vigevano, che con lungimiranza puntò alla formazione degli agenti nel campo delle tecnologie più innovative, come la crittografia, e che – tra notevoli resistenze – si spese per l’unificazione dei servizi informativi delle diverse Forze Armate.

Decisivo è stato il coraggio di quelle donne e quegli uomini dell’intelligence che, nei momenti più bui, hanno saputo restare fedeli al senso più profondo del loro giuramento allo Stato, continuando a perseguire i valori più alti a rischio – a volte al prezzo – della loro vita.

Penso agli agenti del SIM che morirono per liberare l’Italia tra il ’43 e il ’45: gli archivi dell’AISE contengono pagine emozionanti di quelle vite spezzate per la nostra libertà. In questa giornata così speciale, non possiamo dimenticare la forte spinta etica impressa alla nostra intelligence dai suoi Caduti, ricordati nella “Parete della Memoria” di Palazzo Dante: Vincenzo Li Causi, ucciso in Somalia nel 1993; Nicola Calipari, colpito a morte in Iraq nel 2005; Lorenzo D’Auria, morto nel 2007 in Afghanistan; Pietro Antonio Colazzo, ucciso a Kabul nel 2010; Tiziana Barnòbi e Claudio Alonzi, morti nell’incidente sul lago Maggiore nel 2023. Tra i Caduti, quest’anno è stato formalmente aggiunto anche Ànano Bòrreo, morto nello schianto di Argo16, avvenuto a Porto Marghera nel 1973.

Questo patrimonio immateriale – fatto di principi, di regole, di storie, di esempi – costituisce un’eredità viva, che continua ad animare, ogni giorno, l’azione dei nostri agenti, dando forma allo stile inconfondibile della nostra intelligence.

Ne costituisce prova tangibile l’equilibrio con cui i nostri Servizi sono riusciti a mantenere alti livelli di sicurezza anche nei momenti più difficili. Per restare agli ultimi 24 mesi, basterà richiamare alla mente i numerosi appuntamenti del G7 a guida italiana, tenuti lo scorso anno su tutto il territorio nazionale, oppure, in quest’anno giubilare, agli eventi che hanno raccolto a Roma e in Vaticano, per due volte in pochi giorni, i grandi della Terra. Il tutto in un contesto reso più rischioso dalla recrudescenza del terrorismo di matrice islamica e del radicalismo politico.

All’estero, lo stile dei nostri Servizi ha reso possibile un modo tutto italiano di essere presenti nei teatri di crisi. Penso all’Ucraina, dove anche grazie alla nostra intelligence l’Italia ha riattivato la fornitura di energia elettrica per migliaia di persone, attraverso i numerosi generatori che è riuscita a raccogliere e a consegnare.

Penso a Gaza, dove il lavoro dei nostri agenti ha permesso, oltre che di ricevere un flusso di informazioni accurate dal campo, di cooperare per salvare centinaia di palestinesi, molti dei quali bambini, affidati alle cure dei nostri ospedali pediatrici di eccellenza.

Il “timbro” italiano nell’attività di intelligence si sta rivelando decisivo in Africa, dove la presenza italiana – proprio grazie al lavoro dei nostri Servizi – è sempre più punto di riferimento nei rapporti tra le singole Nazioni di quel continente e l’Occidente. 

Sig. Presidente, La ringrazio veramente, a nome del Governo e mio personale, per l’onore che Ella ha voluto riservare all’intelligence italiana, accogliendola nel Palazzo del Quirinale in occasione del centenario della sua istituzione ufficiale.

È un onore grande, che rende ragione delle parole che nel 1946 il Tenente Colonnello Giuseppe Massaioli, ufficiale dell’allora SIM, scrisse in una direttiva, che reimpostava i fondamentali dell’attività di controspionaggio alla luce dei nuovi ideali che avrebbero animato da lì a poco la rinascita dell’Italia.

Egli chiudeva il documento esprimendo la “viva aspirazione (…) di ricondurre il servizio nella scia della migliore tradizione; di spogliarlo (…) di tutte le incrostazioni (…); dargli in definitiva una chiara fisionomia di organismo italiano che lavora ed opera solamente per il bene della Patria”.

Questo auspicio negli anni a seguire avrebbe incontrato non pochi ostacoli. Ma, a distanza di un secolo dalla formale costituzione dell’intelligence italiana, quell’aspirazione è riuscita a trovare concretizzazione, e ha dato vita a un sistema di alto livello, apprezzato dai cittadini e rispettato nel mondo.

Il Governo e la comunità dell’intelligence sono impegnati a proseguire con decisione lungo questa rotta. Per tutelare la sicurezza della nostra nazione e per concorrere alla costruzione di un mondo più libero, più giusto e – soprattutto oggi – più pacificato.